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Apple presenta i nuovi iPad: sono davvero innovativi rispetto agli altri?


Ebbene si! ieri sono stati ufficialmente presentati i nuovi iPad di casa Apple nel solito evento preceduto da annunci e fanfare varie.

Come già ho avuto modo di constatare, negli ultimi tempi non è che Apple abbia brillato in innovazione. Anzi, mi pare la casa della mela morsicata si sia semplicemente allineata alle best practice degli altri produttori ugualmente blasonati. Leggasi Google ed Amazon.

Finalmente Apple ha traghettato sui suoi iPad mini il display Retina: bello sforzo!

Tabella confronto tablet Apple iPad Air Amazon Kindle Fire Google Nexus 7

[Fonte: Gizmodo USA]

Alla fine i competitor avevano gli stessi valori già da tempo; pensate che gli ingegneri di Cupertino hanno raggiunto il siderale valore di 326 DPI!

Credo che per questo mi strapperò le vesti.

Si dice che anche a livello di fotocamera e di ottiche utilizzate la differenza non sia poi così sostanziale.

Certo lo spessore ed i materiali utilizzati possono essere discriminanti. Ma vale la pena di spendere 100 dollari in più (che verranno trasformati automagicamente in più di 100€ per l’italica versione) per un device che, nella pratica, non è poi così differente dai più economici competitor?

Ovviamente i facoltosi fan della mela risponderanno “SI, certo! in definitiva, per i miei 450€/mese di stipendio Co.Co.Pro., 479€ sono pochissimi!”.

Il senso di questa affermazione è comprensibile se si considerano anche il sistema operativo super collaudato e affidabile (sistema decisamente chiuso) ed il livello insuperabile di assistenza. Argomenti questi che però sono contestabili dagli utenti Android (o Windows) per motivi già sviscerati in migliaia di discussioni in rete (Android è un sitema aperto; posso collegarlo via usb e farci quel che voglio, etc.).

Ritornando a bomba all’inizio dell’articolo: non posso far a meno di constatare che la vena creativa ed innovativa di Apple sia ormai definitivamente smarrita. Gli innovatori sono altri ormai, sia che si chiamino Google, Samsung o LG, Amazon, etc.

La differenza si pesa, per quanto mi riguarda, solo sui materiali “pregiati” e sulla qualità costruttiva.

Una volta che sarà introdotto sul mercato una specie di Nexus fatto di alluminio e materiali decenti non plasticosi allora gli iPad saranno finiti.

Voi cosa ne pensate?

I vini sono tutti uguali?


Sideways

Tutti no, ma distinguere “migliori” e “peggiori” è difficile quando non impossibile, spiegano nuovi test (in cui il New Jersey batte la Francia)

Il commerciante di vini britannico Steven Spurrier era convinto, come gran parte degli intenditori, che i vini americani non potessero competere con quelli francesi, considerati da sempre tra i più pregiati al mondo. Per dimostrarlo invitò undici esperti ad assaggiare al buio Bordeaux francesi e Cabernet della California e a giudicarne la bontà in una scala da zero a venti punti. La prova si svolse il 24 maggio del 1976 e il risultato fu sorprendente. I giudici infatti stabilirono che il vino dal sapore migliore era quello di una bottiglia del 1973 proveniente dal vigneto Stag’s Leap di Napa Valley, in California. Alcuni giudici chiesero di ripetere l’assaggio a distanza di qualche tempo sostenendo che i vini francesi non fossero invecchiati al punto giusto, ma i risultati furono gli stessi: dopo lo Stag’s Leap si posizionarono altri tre Cabernet californiani. L’esperimento divenne famoso come il giudizio di Paride – richiamandosi al mito greco in cui il principe troiano Paride dovette scegliere chi fosse la dea più bella tra Atena, Era e Afrodite – e legittimò i vini americani e contribuì alla loro diffusione.

Jonah Lehrer racconta sul New Yorker che l’8 giugno scorso l’Università di Princeton ha realizzato un esperimento simile. Questa volta i giudici erano nove, americani e francesi, e i vini francesi sono stati confrontati con quelli del New Jersey, considerati ordinari e non di grande qualità. Pur non venendo dichiarati i migliori in assoluto, i vini americani – che costano circa il cinque per cento dei loro omologhi francesi – ottennero ottimi punteggi dai giudici e si piazzarono ai primi posti della classifica. Secondo Richard Quandt, uno dei giudici dell’assaggio, il sapore dei vini era “statisticamente indistinguibile”. A partire da questi esperimenti Leherer spiega che definire la bontà di un vino è davvero difficile, anche per gli esperti. Le differenze sensoriali tra diverse bottiglie di vino sono molto lievi e diminuiscono dopo numerosi assaggi, tanto che ci sono pareri spesso discordanti su quale sia il vino con il miglior sapore. Per esempio sia il vino bianco che quello rosso risultati vincitori nel giudizio di Princeton sono stati valutati i peggiori da almeno uno dei giudici.

Secondo Lehrer il contesto – come per esempio l’alto costo di una bottiglia o un’etichetta che ne indica la provenienza da un vigneto prestigioso – gioca un ruolo fondamentale e ingannevole nella percezione del gusto di un vino. La sua tesi è dimostrata da diversi studi. Nel 2001 Frédéric Brochet dell’Università di Bordeaux invitò 57 intenditori ad assaggiare e descrivere un bicchiere di vino bianco e uno rosso. In realtà si trattava dello stesso vino bianco che in un caso era stato dipinto di rosso con un colorante alimentare. Gli esperti però descrissero il vino apparentemente rosso con termini solitamente usati per quel genere di vino. In un altro esperimento Brochet invitò i giudici ad assaggiare un pregiato Bordeaux e un vino da tavola. Si trattava dello stesso vino proveniente da bottiglie diverse ma gli esperti descrissero quello spacciato per pregiato come “amabile”, “legnoso”, “equilibrato” e “rotondo” e l’altro come “debole”, “leggero”, “piatto” e “difettoso”.

Se gli esperti non sono in grado di distinguere i vini pregiati le persone comuni lo sono ancora meno. Lo scorso anno lo psicologo Richard Wiseman chiese a un gruppo di volontari di assaggiare diverse varietà di vino – da quello in cartone allo champagne – e stabilire quella più costosa. I volontari non furono in grado di indovinarlo e il 61 per cento di loro indicò il vino economico come il più caro e di maggior qualità. Lehrer conclude che la maggior parte degli intenditori e delle persone comuni non è in grado di stabilire con accettabile correttezza la bontà del vino e che la nostra percezione è fortemente influenzata dalle nostre aspettative mentali: «Quindi continuate pure a comprare vino del New Jersey – consiglia – Ma se volete garantire ai vostri ospiti il massimo piacere, appiccicate sulla bottiglia un’etichetta francese. Il vino avrà un sapore ancora migliore».

via I vini sono tutti uguali? | Il Post.

Mah… Io sono un po’ scettico.

Tra una bottiglia di Krug millesimato ed un cartone di Tavernello ce ne passa, senza nulla togliere al Tavernello!

Certo ci sono molti vini californiani, cileni, etc. che sono veramente di alto livello e che, forse, sono indistinguibili da un Bordeaux o un Beaujoleaux. Ma la differenza tra un frascati superiore e un barolo si sente, si sente eccome!

L’articolo di Lehrer mi sembra quindi un po’ pretenzioso e provocatorio anche perché le aspettative mentali che possiamo avere sono sicuramente condizionate dall’educazione ai sapori e ai sentori che si acquisiscono con l’esperienza e gli assaggi.

Voi cosa ne pensate?